Filosofia e astrologia?
Secondo Galimberti, quello che gli antichi riferivano alla volta celeste è un volume di senso, «spazzato via dalle scienze psicologiche che, delimitando il campo alla semplice descrizione dei processi psichici individuali o alla problematica normalizzazione dei comportamenti, hanno eluso la domanda di fondo che percorreva l’anima del mondo nel suo dibattersi tra spirito e materia, dove restava indecidibile se l’uomo fosse l’autore di una “storia” con tutto il ventaglio delle sue creazioni o semplicemente l’esecutore di un “destino” già scritto nello spessore della materia.
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Non potendole trovare sulla terra, dove i nostri progetti configgono con quelli degli altri e con le circostanze fauste o infauste, da che mondo è mondo, gli uomini hanno cercato la loro rassicurazioni nel cielo, che appariva più stabile della terra inquieta. Chiamarono le luci che compaiono nel cielo “stelle fisse”, e la loro disposizione “firmamento”, dove è traccia di “ciò che sta fermo” e non muta come gli eventi della terra. Chiamarono inoltre le disposizione del cielo “destino”, che significa “ciò che sta”. E nell’immodificabilità del suo “stare”, rispetto alla mutevolezza delle vicende umane, intravidero quella rassicurazione a cui cercarono di dare parola bella forma della “predizione”».
Cosa rappresenta oggi l’astrologia (non quella immiserita degli oroscopi) per il filosofo del terzo millennio?
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Galimberti che è fine psicologo oltre che filosofo umanista, ha certo ragione, la scienza moderna, nella sua smania oggettivante tanto purificatrice di ogni rappresentazione del reale da lasciare di esso solo il nulla, ha spezzato la ricerca intrapresa dall'astrologia da tempi immemori sul senso dell'esserci (dell'uomo e dell'universo da cui emerge l'umano) in due tronconi separati e inconciliabili: la psicologia e l'astronomia, tolti i quali resta all'astrologo solo la futilità degli oroscopi che si possono fare anche sul computer con un semplice algoritmo di calcolo che produce banalità utili al massimo a far sorridere gli scettici e ingannare perditempo quotidianamente annoiati, spillando loro quattrini che potrebbero impiegare in modo migliore in ben più serie truffe.
Da una parte l'uomo, oggetto di studio psicologico che lo sottrae agli astri, ha perso il senso dell'universo ridotto a macchina gravitazionale, dall'altra l'universo, oggetto di studio tecnico sui moti che lo fanno funzionare senza scopo alcuno, ha perso il senso dell'uomo e così uomo e universo separati in quanto oggetti, si sono ritrovati uniti sotto il comune segno della reciproca insensatezza ed estraneità.
Forse il senso originario dell'astrologia sta proprio in quell'umano (tanto umano) alzare gli occhi al cielo per leggervi i segni della meraviglia terrificante che raccontano la propria storia come in un libro da sempre e per sempre scritto lasciando intuire quanto quel cielo lontano non sia che l'immaginare speculare che passa attraverso gli occhi di quello che si nasconde dentro l'anima, perché tutto è uno e dentro e fuori non sono che necessari espedienti di prospettiva, la prospettiva che lascia apparire come rappresentata e dunque narrabile la realtà dell' esserci di ciò che è che sorge dall'orizzonte come un "io sono".