Nella definizione, correntemente accettata dalla comunità scientifica internazionale, "il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo, ma è un tipo di comportamento aggressivo particolarmente cattivo, in quanto è diretto, spesso ripetutamente, verso una vittima particolare che è incapace di difendersi efficacemente, perché è più giovane, o meno forte o psicologicamente meno sicura" (Ada Fonzi, 2006).
A giudicare dalle notizie riportate dai media, che riferiscono di botte, coltellate, stupri, omicidi e suicidi maturati nell'ambito delle fasce più giovani della popolazione, si diffonde il convincimento che il bullismo sia un fenomeno che, se non in crescita dal punto di vista della frequenza numerica, lo è certamente da quello della intensità della violenza e delle crudeltà perpetrate e dal punto di vista del clima di agghiacciante disumanità che sembra circondare i ragazzi proprio durante il delicato periodo della loro crescita e formazione.
Il bullismo è sempre esistito ed ha avuto, ed ha, come teatro principale, la scuola. Basti ricordare l'"infame" Franti di Cuore di De Amicis o, spostando i riferimenti letterari alla Mitteleuropa, l'inquietante collegio dove studia il giovane Törless dell'omonimo racconto dello scrittore tedesco Robert Musil.
Per tanto tempo cullati dalle teorie di Rousseau, per cui l'uomo è buono, ma sono le istituzioni ad essere malvagie, forse i tempi sono maturi per ammettere che le cose non stanno affatto così: che l'uomo è spesso cattivo, come sapevano già gli antichi, e che una componente di violenza è ineliminabile dal corso delle vicende umane.
Questo non significa che bisogni coltivare un atteggiamento fatalistico e rinunciatario, o che sia necessario avallare le prepotenze, i soprusi, le violenze, le prevaricazioni.
La scuola sta attraversando in Italia un periodo di grave crisi, proprio nel momento a cui ad essa è demandato il compito di risollevare le sorti culturali ed economiche della nazione.
Delegittimata e talvolta irrisa, la scuola si trova a dover fare i conti con l'imbarbarimento dei costumi nazionali. Pareti scolastiche imbrattate, aule allagate, furti, estorsioni, molestie, umiliazioni, atti vandalici di ogni tipo, intimidazioni, minacce, pestaggi, l'autorevolezza degli insegnati ridicolizzata sono il riverbero, sulla scuola, di un clima culturale profondamente mutato negli ultimi decenni, di un permissivismo e di un lassismo deteriori, di un individualismo arrogante e volgare che ha in dispregio tutto ciò che è bene comune. Il valore dello studio serio e costante viene messo alla berlina persino da programmi della televisione generalista, certo di dubbio gusto e di nessuna utilità, come il recente La pupa e il secchione. Salvo poi lamentarci della nostra scarsa competitività a livello internazionale
Proprio in Italia, dove il fenomeno del bullismo secondo ricerche recenti è molto più diffuso che nel Nord Europa, dove le mafie e i nepotismi di ogni genere spadroneggiano sul merito e sul duro lavoro, siamo, per dirla con Pasolini, i soliti "mandolinisti", pensiamo nella vita di cavarcela a buon mercato, con l'arroganza e con l'astuzia.
Ecco allora che, a mio avviso, proprio dalla scuola deve nascere un'offensiva convinta contro il bullismo, che da noi mi sembra andare a braccetto con certe deteriori caratteristiche nazionali.
Spesso il bullo è uno scaldabanchi, uno che vive la scuola come insostenibile frustrazione. Spesso la vittima è uno studente intelligente, magari ansioso e insicuro, ma desideroso di apprendere. Gli insegnanti non debbono permettere che il primo impedisca al secondo di portare avanti il proprio progetto esistenziale, foriero di buoni risultati per sé e per la collettività.
Spesso la vittima del bullo (o dei bulli) soffre in silenzio, si isola, si colpevolizza, arriva persino ad abbandonare la scuola perché sopraffatto dalla violenza dei coetanei, o delle coetanee, perché l'emancipazione femminile, senz'altro la più lodevole e grande conquista sociale del secolo, ha generato, purtroppo, questo squallido sottoprodotto: le donne stanno eguagliando gli uomini anche nella malvagità.
I violenti vanno puniti con severità ed isolati, come suggerisce d'altronde anche il ministro della Pubblica Istruzione. La repressione non soltanto è talvolta utile, ma spesso si rivela essere un rimedio necessario. Talvolta (ma non sempre) i bulli provengono da ambienti sociali degradati. Questo non li esime dal tenere comportamenti. rispettosi e responsabili. L'età della ragione, secondo la religione cattolica, inizia già a sei anni e sicuramente già a quell'età si è in grado, sia pur approssimativamente, di distinguere il bene dal male. È, a mio avviso diseducativo, diffondere nella scuola una cultura deterministica che neghi le capacità umane di autoregolazione e di autodeterminazione. Va ripristinato il concetto che ciascuno di noi è responsabile delle proprie azioni, al di là di qualsivoglia condizionamento genetico, biologico, storico, sociale, economico o culturale.
È difficile correggere i prepotenti. Si può e si deve tentare comunque, ma sono tanti e tali i vantaggi che essi traggono dalla loro condotta, che difficilmente sono disposti a cambiare. Si deve tentare, allora, soprattutto di agire sul gruppo, di frequente complice, a causa del diminuito controllo delle proprie tendenze aggressive, nel perseguitare e isolare la vittima. La scuola deve, magari proprio a partire dall'analisi e dalla discussione di eclatanti fatti di bullismo, insegnare ai ragazzi a confrontarsi con le proprie emozioni, a diffondere una cultura della solidarietà, della tolleranza, del rispetto reciproco anche nella differenza e nella diversità.
Una cultura che, proprio diffondendo i principi cardine della democrazia, contribuirà a costruire una comunità nazionale più coesa e civile e di conseguenza anche più forte nell'affrontare le difficili e appassionanti sfide che il futuro ci riserva.
Nelle scuole accade di solito intimorendo il proprio compagno in aree con poca o niente soprintendenza adulta. Può accadere in quasi qualsiasi grado, elementare, media e superiore, durante le pause, nei bagni, sugli autobus ecc. L'azione di intimorire consiste in un gruppo di studenti che prendono vantaggio su una persona, o isolando uno studente in particolare e guadagnando la lealtà di spettatori che vogliono evitare di diventare la prossima vittima. Gli obiettivi di queste azioni a scuola sono quegli alunni considerati strani o diversi(troppo studiosi) dai loro pari. Dei bambini intimoriscono perché sono stati isolati e perché hanno un bisogno profondo di senso di appartenenza. Ma questi non possiedono le abilità sociali di tenere efficacemente amici. L'azione di intimorire un'altra persona può essere perpetrata anche da insegnanti e dal sistema di scuola stesso: c'è un potere nel sistema che può predisporre facilmente all'abuso sottile o celato, umiliazione, o esclusione, anche mantenendo impegni aperti a politiche anti-sociali.Il bullismo può essere sia "diretto" che "indiretto". Il bullismo diretto consiste nel picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere, dare pizzicotti, appropriarsi degli oggetti degli altri o rovinarli, minacciare, insultare, offendere, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti sugli altri o rovinarli. Il bullismo di tipo indiretto invece si gioca più sul piano psicologico, meno visibile e più difficile da individuare, ma non è meno dannoso per la vittima di "turno". Esempi di bullismo indiretto sono: l'esclusione dal gruppo dei coetanei, l'isolamento, l'uso di smorfie e gesti volgari, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti di amicizia.A differenza di quanto si pensi, il bullismo è un fenomeno che riguarda sia maschi che femmine, ma nei due sessi si esprime in due modi differenti. I maschi mettono in atto soprattutto prepotenze di tipo diretto, come aggressioni fisiche e verbali. Le femmine, invece, utilizzano in genere modalità indirette di prevaricazione e le rivolgono prevalentemente ad altre femmine. Dalle notizie di stampa sembrerebbe, poi, che ci siano delle età a rischio di bullismo, poiché i soggetti coinvolti sono spesso o bambini tra gli 7-10 anni o ragazzi tra i 14-17 anni.Il bullismo, a differenza del vandalismo e del teppismo, si presenta come una forma di violenza antitetica a quelle rivolte contro le istituzioni e i loro simboli (docenti o strutture scolastiche): queste ultime sarebbero estroverse, dove il bullismo è invece introverso, una sorta di cannibalismo psicologico interno al gruppo dei pari. Inoltre è da sottolineare come quasi sempre, in particolare nei casi di ostracismo, l'intera classe tenda ad essere coinvolta nel bullismo, attivo o passivo, rivolto verso le vittime del gruppo, tramite meccanismi di consenso, più o meno consapevole, non solo nel timore di diventare nuove vittime dei bulli, o per mettersi in evidenza nei loro confronti, ma perché questi spesso riescono ad esprimere sia pur in negativo, attraverso la designazione della vittima quale capro espiatorio, la cultura identitaria del gruppo. I primi studi sul bullismo si hanno nei paesi dell'area scandinava, a partire dall'inizio degli anni Settanta, e, poco dopo, anche nei paesi anglosassoni, in particolare Gran Bretagna e Australia. Con la seconda metà degli anni Novanta, ricerche analoghe sono condotte anche in Italia. Da segnalare il caso del Giappone con gli studi sull'Ijime che si sviluppano verso un modello di analisi orientato alla psicologia di gruppo.
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E chi ti dice niente, fallo.
Nella definizione, correntemente accettata dalla comunità scientifica internazionale, "il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo, ma è un tipo di comportamento aggressivo particolarmente cattivo, in quanto è diretto, spesso ripetutamente, verso una vittima particolare che è incapace di difendersi efficacemente, perché è più giovane, o meno forte o psicologicamente meno sicura" (Ada Fonzi, 2006).
A giudicare dalle notizie riportate dai media, che riferiscono di botte, coltellate, stupri, omicidi e suicidi maturati nell'ambito delle fasce più giovani della popolazione, si diffonde il convincimento che il bullismo sia un fenomeno che, se non in crescita dal punto di vista della frequenza numerica, lo è certamente da quello della intensità della violenza e delle crudeltà perpetrate e dal punto di vista del clima di agghiacciante disumanità che sembra circondare i ragazzi proprio durante il delicato periodo della loro crescita e formazione.
Il bullismo è sempre esistito ed ha avuto, ed ha, come teatro principale, la scuola. Basti ricordare l'"infame" Franti di Cuore di De Amicis o, spostando i riferimenti letterari alla Mitteleuropa, l'inquietante collegio dove studia il giovane Törless dell'omonimo racconto dello scrittore tedesco Robert Musil.
Per tanto tempo cullati dalle teorie di Rousseau, per cui l'uomo è buono, ma sono le istituzioni ad essere malvagie, forse i tempi sono maturi per ammettere che le cose non stanno affatto così: che l'uomo è spesso cattivo, come sapevano già gli antichi, e che una componente di violenza è ineliminabile dal corso delle vicende umane.
Questo non significa che bisogni coltivare un atteggiamento fatalistico e rinunciatario, o che sia necessario avallare le prepotenze, i soprusi, le violenze, le prevaricazioni.
La scuola sta attraversando in Italia un periodo di grave crisi, proprio nel momento a cui ad essa è demandato il compito di risollevare le sorti culturali ed economiche della nazione.
Delegittimata e talvolta irrisa, la scuola si trova a dover fare i conti con l'imbarbarimento dei costumi nazionali. Pareti scolastiche imbrattate, aule allagate, furti, estorsioni, molestie, umiliazioni, atti vandalici di ogni tipo, intimidazioni, minacce, pestaggi, l'autorevolezza degli insegnati ridicolizzata sono il riverbero, sulla scuola, di un clima culturale profondamente mutato negli ultimi decenni, di un permissivismo e di un lassismo deteriori, di un individualismo arrogante e volgare che ha in dispregio tutto ciò che è bene comune. Il valore dello studio serio e costante viene messo alla berlina persino da programmi della televisione generalista, certo di dubbio gusto e di nessuna utilità, come il recente La pupa e il secchione. Salvo poi lamentarci della nostra scarsa competitività a livello internazionale
Proprio in Italia, dove il fenomeno del bullismo secondo ricerche recenti è molto più diffuso che nel Nord Europa, dove le mafie e i nepotismi di ogni genere spadroneggiano sul merito e sul duro lavoro, siamo, per dirla con Pasolini, i soliti "mandolinisti", pensiamo nella vita di cavarcela a buon mercato, con l'arroganza e con l'astuzia.
Ecco allora che, a mio avviso, proprio dalla scuola deve nascere un'offensiva convinta contro il bullismo, che da noi mi sembra andare a braccetto con certe deteriori caratteristiche nazionali.
Spesso il bullo è uno scaldabanchi, uno che vive la scuola come insostenibile frustrazione. Spesso la vittima è uno studente intelligente, magari ansioso e insicuro, ma desideroso di apprendere. Gli insegnanti non debbono permettere che il primo impedisca al secondo di portare avanti il proprio progetto esistenziale, foriero di buoni risultati per sé e per la collettività.
Spesso la vittima del bullo (o dei bulli) soffre in silenzio, si isola, si colpevolizza, arriva persino ad abbandonare la scuola perché sopraffatto dalla violenza dei coetanei, o delle coetanee, perché l'emancipazione femminile, senz'altro la più lodevole e grande conquista sociale del secolo, ha generato, purtroppo, questo squallido sottoprodotto: le donne stanno eguagliando gli uomini anche nella malvagità.
I violenti vanno puniti con severità ed isolati, come suggerisce d'altronde anche il ministro della Pubblica Istruzione. La repressione non soltanto è talvolta utile, ma spesso si rivela essere un rimedio necessario. Talvolta (ma non sempre) i bulli provengono da ambienti sociali degradati. Questo non li esime dal tenere comportamenti. rispettosi e responsabili. L'età della ragione, secondo la religione cattolica, inizia già a sei anni e sicuramente già a quell'età si è in grado, sia pur approssimativamente, di distinguere il bene dal male. È, a mio avviso diseducativo, diffondere nella scuola una cultura deterministica che neghi le capacità umane di autoregolazione e di autodeterminazione. Va ripristinato il concetto che ciascuno di noi è responsabile delle proprie azioni, al di là di qualsivoglia condizionamento genetico, biologico, storico, sociale, economico o culturale.
È difficile correggere i prepotenti. Si può e si deve tentare comunque, ma sono tanti e tali i vantaggi che essi traggono dalla loro condotta, che difficilmente sono disposti a cambiare. Si deve tentare, allora, soprattutto di agire sul gruppo, di frequente complice, a causa del diminuito controllo delle proprie tendenze aggressive, nel perseguitare e isolare la vittima. La scuola deve, magari proprio a partire dall'analisi e dalla discussione di eclatanti fatti di bullismo, insegnare ai ragazzi a confrontarsi con le proprie emozioni, a diffondere una cultura della solidarietà, della tolleranza, del rispetto reciproco anche nella differenza e nella diversità.
Una cultura che, proprio diffondendo i principi cardine della democrazia, contribuirà a costruire una comunità nazionale più coesa e civile e di conseguenza anche più forte nell'affrontare le difficili e appassionanti sfide che il futuro ci riserva.
Nelle scuole accade di solito intimorendo il proprio compagno in aree con poca o niente soprintendenza adulta. Può accadere in quasi qualsiasi grado, elementare, media e superiore, durante le pause, nei bagni, sugli autobus ecc. L'azione di intimorire consiste in un gruppo di studenti che prendono vantaggio su una persona, o isolando uno studente in particolare e guadagnando la lealtà di spettatori che vogliono evitare di diventare la prossima vittima. Gli obiettivi di queste azioni a scuola sono quegli alunni considerati strani o diversi(troppo studiosi) dai loro pari. Dei bambini intimoriscono perché sono stati isolati e perché hanno un bisogno profondo di senso di appartenenza. Ma questi non possiedono le abilità sociali di tenere efficacemente amici. L'azione di intimorire un'altra persona può essere perpetrata anche da insegnanti e dal sistema di scuola stesso: c'è un potere nel sistema che può predisporre facilmente all'abuso sottile o celato, umiliazione, o esclusione, anche mantenendo impegni aperti a politiche anti-sociali.Il bullismo può essere sia "diretto" che "indiretto". Il bullismo diretto consiste nel picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere, dare pizzicotti, appropriarsi degli oggetti degli altri o rovinarli, minacciare, insultare, offendere, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti sugli altri o rovinarli. Il bullismo di tipo indiretto invece si gioca più sul piano psicologico, meno visibile e più difficile da individuare, ma non è meno dannoso per la vittima di "turno". Esempi di bullismo indiretto sono: l'esclusione dal gruppo dei coetanei, l'isolamento, l'uso di smorfie e gesti volgari, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti di amicizia.A differenza di quanto si pensi, il bullismo è un fenomeno che riguarda sia maschi che femmine, ma nei due sessi si esprime in due modi differenti. I maschi mettono in atto soprattutto prepotenze di tipo diretto, come aggressioni fisiche e verbali. Le femmine, invece, utilizzano in genere modalità indirette di prevaricazione e le rivolgono prevalentemente ad altre femmine. Dalle notizie di stampa sembrerebbe, poi, che ci siano delle età a rischio di bullismo, poiché i soggetti coinvolti sono spesso o bambini tra gli 7-10 anni o ragazzi tra i 14-17 anni.Il bullismo, a differenza del vandalismo e del teppismo, si presenta come una forma di violenza antitetica a quelle rivolte contro le istituzioni e i loro simboli (docenti o strutture scolastiche): queste ultime sarebbero estroverse, dove il bullismo è invece introverso, una sorta di cannibalismo psicologico interno al gruppo dei pari. Inoltre è da sottolineare come quasi sempre, in particolare nei casi di ostracismo, l'intera classe tenda ad essere coinvolta nel bullismo, attivo o passivo, rivolto verso le vittime del gruppo, tramite meccanismi di consenso, più o meno consapevole, non solo nel timore di diventare nuove vittime dei bulli, o per mettersi in evidenza nei loro confronti, ma perché questi spesso riescono ad esprimere sia pur in negativo, attraverso la designazione della vittima quale capro espiatorio, la cultura identitaria del gruppo. I primi studi sul bullismo si hanno nei paesi dell'area scandinava, a partire dall'inizio degli anni Settanta, e, poco dopo, anche nei paesi anglosassoni, in particolare Gran Bretagna e Australia. Con la seconda metà degli anni Novanta, ricerche analoghe sono condotte anche in Italia. Da segnalare il caso del Giappone con gli studi sull'Ijime che si sviluppano verso un modello di analisi orientato alla psicologia di gruppo.